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Il “doppio turno” francese

Luca Tentoni - 15.04.2017
Eugène Delacroix - La liberté guidant le peuple

Il 23 aprile i francesi voteranno per il primo turno delle elezioni presidenziali. L'articolo 7 della loro Costituzione specifica che il Capo dello Stato "è eletto a maggioranza assoluta dei voti espressi. Se tale maggioranza non viene conseguita al primo scrutinio, si procede ad una nuova votazione, nel quattordicesimo giorno seguente. Possono presentarsi solo i due candidati che, a parte un eventuale ritiro, hanno ottenuto più voti al primo turno". Nella storia della Francia, da quando, nel 1962, la riforma costituzionale voluta da Charles De Gaulle ha reintrodotto (e non introdotto ex novo: il 10 e l'11 dicembre 1848, infatti, Carlo Luigi Napoleone Bonaparte era stato eletto col 74,31% dei voti espressi, pari a 5.587.759 su 7.542.936 votanti) l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, nessun presidente è stato mai eletto al primo turno: nel 1965 (5-19 dicembre) De Gaulle ebbe il 44,65% dei voti (andò al ballottaggio - vincendolo col 55,2% dei suffragi popolari - con François Mitterrand, giunto secondo col 31,72%); nel 1969 (1-15 giugno) Georges Pompidou ottenne il 44,47% (Alain Poher 23,31%), vincendo poi col 58,21%; nel 1974 (5-19 maggio) fu Mitterrand a classificarsi inizialmente primo, col 43,24%, ma Valéry Giscard d'Estaing (32,6% al primo turno) vinse al ballottaggio col 50,81%; nel 1981 (26 aprile-10 maggio) fu invece Mitterrand (25,85% al primo turno, 51,76% al secondo) a battere Giscard d'Estaing (28,31% al primo turno, 48,24% al secondo); Mitterrand vinse inoltre nel 1988 (24 aprile-8 maggio) ottenendo però il 34,09% alla prima votazione (contro il 19,94% del secondo classificato Jacques Chirac) ma il 54,01% al ballottaggio; nel 1995 (23 aprile-7 maggio) fu Chirac (20,84% al primo turno, 52,63% al secondo) a superare l'avversario socialista Lionel Jospin (23,3% al primo turno, 47,37% al secondo); nel 2002 (due anni dopo la riforma costituzionale che aveva portato da sette a cinque anni la durata del mandato presidenziale) Chirac ebbe solo il 19,88% dei voti al primo turno (21 aprile) contro il 16,86% di Jean-Marie Le Pen (che superò di pochissimo Jospin, fermo al 16,18%, eliminandolo dal ballottaggio) per poi vincere, il 5 maggio, grazie al "rassemblement repubblicano", con l'82,21%; cinque anni più tardi, nel 2007, Nicolas Sarkozy si impose al primo turno (22 aprile) col 31,18% su Ségolène Royal (25,87%) e fu eletto al secondo (6 maggio) col 53,06%; infine, nel 2012, il presidente uscente ottenne il 27,18% dei voti, classificandosi al secondo posto dopo il socialista François Hollande (28,63%) il quale avrebbe vinto anche al ballottaggio (51,64% contro 48,36%). Normalmente, al primo turno delle presidenziali si presetano numerosi candidati: c’è un’ampia possibilità di scelta (e di "voto di testimonianza"). Il numero degli aspiranti all’Eliseo, che nel 1965 era pari a sei unità e che nel 1969 era ancora a sette, è salito nel 1974 a dodici, per poi attestarsi su 9-10 nel periodo 1981-1995, arrivare al record di sedici nel 2002, scendere a dodici nel 2007 e a dieci nel 2012, per poi risalire a undici nel 2017. In nove elezioni presidenziali, riassumendo, solo sette candidati sui diciotto in ballottaggio hanno ottenuto almeno il 30% dei voti al primo turno; solo Chirac (2002) ha avuto più del 60% dei suffragi al secondo turno, mentre in altri tre casi il vincitore si è imposto al ballottaggio riportando meno del 52% dei voti (1974, 1981, 2012). Va detto, infine, che per la prima volta, nel 2017, il Presidente uscente ha deciso - per scelta politica personale - di non ricandidarsi dopo il suo primo mandato: De Gaulle, Chirac e Mitterrand furono all'Eliseo per due mandati (il generale fu eletto direttamente dal popolo solo la seconda volta, nel 1965), mentre Pompidou morì in carica nel 1974 e Giscard e Sarkozy furono battuti (rispettivamente nel 1981 e nel 2012) pur essendosi ricandidati da presidenti uscenti. L'elezione del Capo dello Stato è, in Francia, quella che di solito (dall'inizio degli anni Ottanta) vede la maggior partecipazione popolare rispetto alle altre (legislative, regionali, europee): sebbene gli ultimi sondaggi stimino la partecipazione del 2017 intorno al 65% degli iscritti nelle liste elettorali, in passato non si è mai scesi sotto il 70% al primo turno. Non solo: l'affluenza, a partire dal 1974, è sempre stata più alta al ballottaggio (l'elezione decisiva) che al primo turno (con un'attenuazione del fenomeno nel 2007 e nel 2012). Riassumendo, i dati sull'affluenza sono stati i seguenti: 1965, 84,74% I turno, 84,29 II turno; 1969, 77,59% e 68,85%; 1974, 84,23% e 87,33%; 1981, 81,09% e 85,85%; 1988, 81,38% e 84,06%; 1995, 78,38% e 79,66%; 2002, 71,6% e 79.71%; 2007, 83,77% e 83,97%; 2012, 79,48% e 80,35%. Appare particolarmente significativa la differente affluenza fra il primo e il secondo turno del 2002, giustificata dalla presenza al ballottaggio del candidato di estrema destra Le Pen: la mobilitazione per sconfiggerlo portò alle urne l'8,11% di iscritti in più rispetto al primo turno. Per una storia delle elezioni presidenziali in Francia rimandiamo a due testi molto diversi, entrambi editi nelle scorse settimane: "Les élections présidentielles en France depuis 1848" (Jean-Louis Rizzo, ed. Glyphe) e "A voté - Une histoire de l'élection" (Laurent Le Gall - ed. Anamosa). Abbiamo visto che il sistema elettorale per il capo dello Stato francese è a doppio turno (ovviamente uninominale) chiuso (passano solo i primi due). Inoltre, chi vince al primo turno deve solo ottenere il 50% più uno dei voti, indipendentemente dal numero dei votanti. Il sistema per l'elezione dei deputati dell'Assemblea Nazionale francese (per il rinnovo della quale si voterà l'11 e il 18 giugno 2017) è invece leggermente differente: secondo il Codice elettorale, i 577 seggi da assegnare (558 per i dipartimenti del territorio metropolitano, 8 per la Nuova Caledonia e le collettività d'Oltremare, 11 per i francesi all'estero - cfr. "Sistemi elettorali - Francia" dossier 52/2013 del Senato della Repubblica) si attribuiscono nei collegi uninominali, ma il vincitore al primo turno deve ottenere, oltre ad almeno il 50% più uno dei voti espressi, anche un numero di voti pari al 25% degli elettori iscritti (se l'affluenza nel collegio, dunque, si mantiene pari o superiore al 50% - alle politiche del 10-17 giugno 2012 è stata del 57% - per essere eletti basta la maggioranza assoluta dei suffragi, altrimenti non è sufficiente). Inoltre, il ballottaggio per l'Assemblea Nazionale si svolge la domenica successiva al primo turno, non 14 giorni dopo come avviene per le presidenziali. Infine, (articolo L 162 del Codice) il secondo turno non è chiuso, perchè vi accedono, oltre ai primi due classificati, anche tutti i candidati che hanno ottenuto un numero di voti pari ad almeno il 12,5% degli iscritti: in altre parole, con un'affluenza nel collegio pari al 60%, il 12,5% corrisponde al 20,8% circa dei voti espressi. Nel 2012, i candidati eletti al primo turno sono stati soltanto 36; i ballottaggi a due candidati sono stati 495, mentre quelli a tre sono state 46 (un numero che potrebbe aumentare, se il FN confermasse alle prossime politiche le percentuali che i sondaggi gli accreditano). È importante sottolineare che, mentre nell'elezione per il Presidente della Repubblica vanno in ballottaggio i primi due, indipendentemente dalla percentuale ottenuta, per le legislative si "promuovono" al secondo turno tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti calcolati sugli elettori iscritti, che possono essere più di due. Nel caso che invece solo uno, o nessun candidato raggiunga il 12,5%, si ammettono al ballottaggio nel collegio uninominale per il seggio all'Assemblea Nazionale i primi due, indipendentemente dalla percentuale ottenuta (si tratta, com'è evidente, di una extrema ratio). Lo scrutinio di lista uninominale ad eventuale secondo turno di ballottaggio fa parte della tradizione politica francese: lo vediamo già alle elezioni del 1857-1869 (Secondo Impero) e in quelle della Terza Repubblica (legge organica del 30 novembre 1875) dove resta in uso (con una pausa nel 1885, ma la legge 13-2-1889 riporta in vigore il sistema precedente) fino al 1919 e (con una seconda pausa: 1919-1924) di nuovo dal 1928 al 1936. Ripreso da De Gaulle per le elezioni del 23-30 novembre 1958 (ordinanza del 13 ottobre 1958) non fu più abbandonato, se non per la parentesi del solo voto del 16 marzo 1986, quando si adottò un sistema proporzionale con soglia del 5%. Il "doppio turno uninominale maggioritario" non è stato solo utilizzato in Francia. Come ricordava Giovanni Sartori ("Ingegneria costituzionale comparata", Il Mulino, 1995) "il sistema del doppio turno è stato usato largamente nel passato: in collegi uninominali in Francia (...), Spagna (1870-1931), Olanda (1906-18), Germania (1906-19), Austria (1906-19), Norvegia (1906-21) e in collegi plurinominali in Belgio (fino al 1900), Norvegia (fino al 1906), Italia (fra il 1882 e il 1891), Svizzera (fino al 1919), Spagna (prima del 1870 e tra il 1931 e il 1936)". La caratteristica del doppio turno, secondo Sartori, sta nel fatto che "tutti gli altri sistemi elettorali sono ad un colpo solo (...). Con un colpo solo, l'elettore spara più o meno al buio; con due colpi, la seconda volta, in piena luce (...). Al primo turno l'elettore può esprimere liberamente la sua prima preferenza. La sua libertà è massima quando non c'è alcuna soglia (o soltanto una barriera minima) per l'ammissione dei candidati al secondo turno; ed è egualmente assai grande in collegi plurinominali. Invece l'elettore che calcola il suo voto è "meno libero" quando l'ammissione al turno decisivo è filtrata da soglie relativamente alte e, specialmente, quando gli ammessi al ballottaggio sono soltanto i primi due. Ma anche così il punto rimane che il doppio turno consente all'elettore, al primo turno, la stessa libertà di scelta che gli dà il sistema proporzionale. Da notare, inoltre, che siccome il primo turno è una selezione, non una elezione (a meno che un candidato non consegua immediatamente la maggioranza assoluta), il primo turno è un po' un equivalente funzionale delle primarie: è un meccanismo che sceglie i candidati maggiormente preferiti dalla maggior parte degli elettori (...). Il succo è che mentre qualsiasi sistema elettorale inteso a contenere la proliferazione dei partiti deve in qualche modo comprimere le scelte dell'elettore, il doppio turno trasforma una coercizione in una scelta intelligente" ("Ingegneria costituzionale comparata", cit.). Come si accennava, il "doppio turno" con ballottaggio è stato anche il sistema per l'elezione della nostra Camera dei deputati: per un periodo breve quello plurinominale (legge 7-5-1882, n.725, applicata fra il 1882 e il 1891) ma per altro mezzo secolo (dall'Unità alla fine della Prima guerra mondiale) quello uninominale. Il doppio turno fu adottato dal Regno di Sardegna con la legge 680 del 17 marzo 1848 e confermato dalla legge 4513 del 17 dicembre 1860 (che varrà per il Regno d'Italia, proclamato il 17 marzo 1861). I deputati - inizialmente 493, poi portati a 508 nel 1870 - erano eletti a suffragio ristretto (votava circa il 2% della popolazione). Il meccanismo col quale si votò il 27 gennaio e il 3 febbraio 1861 era il seguente: veniva eletto al primo turno il candidato che nel collegio uninominale otteneva almeno il 50% più uno dei voti, purchè rappresentasse almeno un terzo del totale degli elettori. Se l'affluenza era, poniamo, del 60%, l'eletto doveva ottenere il 55% dei voti. Il secondo turno, come in Francia, si svolgeva la settimana successiva: partecipavano i due più votati al primo turno (ballottaggio "chiuso"). La legge del 28 giugno 1892, n.315, introdusse il calcolo della maggioranza dei voti su quelli validi, escludendo le schede nulle e abbassando il quorum, ma con la legge 117 del 1898 si tornò a ricomprenderle. Nel 1892, intanto, era diminuito il numero minimo di voti per essere eletti al primo turno, da un terzo a un sesto degli aventi diritto (mantenendo, ovviamente, la quota del 50% più uno dei suffragi). La storia del doppio turno per le elezioni della Camera si concluse quando, il 29 settembre 1919, l'Assemblea di Montecitorio venne sciolta e si andò al voto con un metodo proporzionale con scrutinio di lista e preferenze. C'era anche un "voto aggiunto" per candidati di liste diverse da quella scelta, ma, come spiega Pier Luigi Ballini nel suo "Le elezioni nella storia d'Italia dall'Unità al fascismo" (Il Mulino, 1988) "era possibile con queste limitazioni: che non si esercitasse contemporaneamente il diritto di preferenza e quello di aggiunta; che il numero delle preferenze o delle aggiunte non fosse maggiore di uno se i deputati da eleggere erano cinque, di due se erano sei e non più di undici, di tre se erano undici e non più di quindici; che, infine, se la lista era incompleta, con il numero di voti aggiunti non si superasse il numero di deputati da eleggere" (sulla storia elettorale italiana si possono consultare anche “Le grandi leggi elettorali italiane” – autori vari, Colombo, 1994 - e il mio "Gli strumenti per cambiare", Acropoli, 1991). Fra poche settimane, dunque, i francesi rinnoveranno l'Assemblea Nazionale con un sistema non troppo diverso da quello utilizzato in Italia nell'epoca pre-fascista. Forse, nel dibattito politico sulla nostra riforma elettorale, sarebbe opportuno prendere in seria considerazione l'ipotesi di sperimentare il ritorno al vecchio doppio turno uninominale.