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Appunti sulle elezioni regionali

Luca Tentoni - 12.09.2020
elezioni e referendum

Guardando i dati retrospettivi del voto nelle sei regioni a statuto ordinario dove il 20 e il 21 settembre si rinnoveranno i consigli e si eleggeranno i presidenti di giunta, si nota come, nel complesso, il centrodestra - o meglio la destra più Forza Italia - abbia costantemente guadagnato voti, dai 3 milioni del 2015 ai 4,2 delle politiche 2018 e ai 4,7 circa delle scorse europee (2019). Questo crescendo ha infranto un equilibrio fra due poli (centrosinistra e centrodestra) che aveva caratterizzato le elezioni del 2015 (39,3% a centrosinistra e sinistra contro il 37,3% a FdI, Lega e FI, più alleati minori), permettendo alla rinnovata Cdl di affiancare il M5s nel 2018 (35,3% contro 35,8% dei voti) e poi di allungare il passo, arrivando al 48,4% del 2019. In questo panorama si nota, da un lato, il progressivo indebolimento di Forza Italia (dal 14% del 2018 all'8,7% del 2019), il rafforzamento costante di Fratelli d'Italia (2015: 3,9%; 2018, 4%; 2019: 6,4%) e soprattutto della Lega (dal 9,3% del 2015 al 33,1% del 2019, passando per il 15,8% del 2018). Il M5s, invece, pare subire una sorta di legge del pendolo: va bene alle politiche e male alle amministrative o alle elezioni di secondo ordine come le europee (era già accaduto, in modo meno eclatante, nel 2014). I pentastellati hanno avuto 1,276 milioni di voti alle regionali del 2015, per salire ai 4,267 delle politiche e riscendere all'1,880 delle europee; in tutti questi casi, il centrosinistra e la sinistra non si sono giovati dei flussi in uscita dai Cinquestelle, se non in modo marginale, mentre il riassorbimento dell'elettorato di destra andato "in libera uscita" al M5s nel 2013 e soprattutto nel 2018 è stato compiuto a tutto vantaggio della Lega e - più in generale - delle forze populiste e sovraniste capeggiate da Salvini e Meloni. Molto del deflusso dai Cinquestelle è storicamente finito nell'astensione: se si osserva la somma dei voti pentastellati e degli astenuti nel periodo 2015-2019 nelle sei regioni si ha un totale che alle regionali era pari a 9,97 milioni, alle politiche a 8,77 (con un elettorato meno numeroso, per via della possibilità, per la Camera, di votare dall'estero per la circoscrizione apposita) e alle europee a 9,5 milioni. Flussi e deflussi dall'area M5s-Astensione sono dunque stati sempre compresi fra 700mila e 1,2 milioni di unità, mentre nel solo caso dei pentastellati sono stati pari, nel passaggio 2015-2018, a 3 milioni e - nel passaggio 2018-2019 - a 2,4 milioni circa. Inoltre, mentre in occasione del voto politico i Cinquestelle hanno ottenuto un numero di consensi superiore di 58mila unità rispetto a tutte le forze di centrodestra, nel 2015 e nel 2019 per ogni cento voti a Lega, FdI, FI e altri Cdl, quelli al M5s sono stati fra 40 e 42. Un caso a parte, invece, è stata la performance di centrosinistra e sinistra, che dopo il 39,3% delle regionali 2015 si sono attestate prima sul 26,6% (politiche), poi sul 30,2% (europee); in termini di voti assoluti, tuttavia, i partiti dell'area hanno avuto nelle sei regioni un numero di consensi pari a 3,2 milioni nel 2015, 3,175 nel 2018 e 2,913 nel 2019, con le liste Pd rispettivamente a 2 milioni, 2,164 milioni e 2,130 milioni. Le oscillazioni in termini di voti, dunque, sono state più contenute - nel centrosinistra - rispetto a quelle in percentuale. Tutto ciò è atteso alla prova delle conferme o delle smentite fra otto giorni. Se le cose andranno secondo la tradizione, il M5s avrà un risultato modesto, il centrosinistra un lieve recupero e la destra un progresso (con l'incognita del dato di Forza Italia, da verificare soprattutto al Sud). Se invece i Cinquestelle terranno e il centrodestra fermerà la sua corsa (ipotesi che a chi scrive pare poco probabile) avremo uno scenario più vicino a quello delle politiche. Ma il tono della campagna elettorale e la salienza peculiare di questo voto sembrano andare nella direzione della dimensione regionale e locale. Anche il presidente del Consiglio, evitando peraltro di ripetere l'azzardo di D'Alema nel 2000, ha evitato di dare valenza nazionale all'appuntamento con le urne del 20-21 settembre. Il messaggio che sembra essere stato trasmesso agli elettori pentastellati è quello consueto di questo tipo di appuntamenti: eppure, è la loro partecipazione o meno a fare la differenza (non necessariamente a favore del centrosinistra o del centrodestra, ma in termini di affluenza). In qualche modo, il consueto disinteresse dei votanti Cinquestelle per le amministrative sembra in contrasto con la necessità di una mobilitazione per il "sì" al referendum costituzionale.